© foto di Maurizio Leoni
Non capitavo a Venezia dal lontano 1999, ci sono tornato da poco (6 e 7 novembre) per visitare insieme a mia moglie, il piccolo Damiano e altri cari amici, la Biennale 2015 che si chiuderà il 22 novembre.
Assistiti e benedetti da uno splendido sole simil primaverile abbiamo potuto godere in toto della creatività del genere umano e delle magnifiche attrazioni locali che rendono Venezia, senza dubbio, la più bella città del mondo.
Tornando alla Biennale, bisogna dire però, che per un ragazzo di provincia con il vizio della fotografia come me, essere catapultato in un mondo così largamente anticipatore, ha prodotto l’inevitabile conseguenza di far vacillare le mie già precarie convinzioni sul mondo dell’arte, fino a farmi retrocedere all’estrema considerazione su cosa fosse veramente arte e quale sia il suo profondo significato.
A tale proposito la prima cosa da fare sarebbe quella di consultare un vocabolario o un’enciclopedia, oppure tuffarsi nel mondo virtuale e interrogare i vari motori di ricerca al fine di scovare definizioni o pareri illustri di gente del calibro di Philippe d’Averio, Olivo Bonito Oliva, Flavio Caroli o Vittorio Sgarbi.
Ma siccome mi piace pensare con la mia testa ho intrapreso il meno facile sentiero della riflessione personale, ragionando sul fatto che anche gli Impressionisti nella seconda metà del XIX secolo furono criticati e attaccati dal mondo accademico parigino per il loro linguaggio visivo innovativo, tanto che la loro prima mostra fu allestita, non a caso, nello studio di un fotografo (Nadar) nel 1874.
Da utente inesperto quale sono e senza entrare nel merito di ogni singolo padiglione ho potuto vedere con i miei occhi opere fatte soprattutto di luci e liquidi colorati, effetti speciali, suoni strani, video, materiali riciclati e così via, insomma niente o quasi dell’arte “convenzionale” che prevalentemente siamo abituati ad ammirare nei musei, nelle gallerie o nelle collezioni.
Cosa ci vuole comunicare l’arte contemporanea e cosa la lega alla linea temporale dell’arte che siamo abituati a riconoscere come tale?
Mi è sembrato di capire che questo modo di esprimersi, sempre meno legato al canone estetico tradizionalmente inteso, sia sempre più analisi profonda del mondo, introspezione dell’essere uomo, immagine significante della società, denuncia, messaggio, comunicazione.
In definitiva viene quasi da pensare che niente è cambiato dai tempi delle prime pitture rupestri se non la forma, le tecniche e il modo di esprimersi in una società evoluta nel bene e nel male.
Un’arte usata come uno specchio che riflette l’animo umano e ci racconta del mondo che abbiamo creato o che abbiamo distrutto.
L’arte è pertanto come sempre portatrice sana di idee e di valori universalmente riconoscibili, è veicolo di messaggi e di verità, è espressione dell’uomo libero e senza confini di razza, di sesso, di religione, è un anticorpo ai mali della nostra società.
Niente di nuovo sotto il sole?
Forse è stata questa la lezione.
Nessun commento:
Posta un commento