La locandina della mostra |
Quando nel 2002 mi trasferii da Petrignano d'Assisi alla vicina Bastia Umbra, volli dedicare alla mia nuova città questo lavoro fotografico, consistente in foto analogiche ai sali d'argento e in mosaici di istantanee polaroid 1200 "spellicolate".
L'Arch. Mario Bruno Broccolo scrisse per me questo testo di presentazione:
Le fotografie di Maurizio Leoni fanno nascere una strana sorta di invidia in chi le guarda: com’è possibile che lui abbia visto quelle cose, che erano sotto i nostri occhi, sotto gli occhi di tutti, tutti i giorni? Siamo dunque sempre così distratti? Tutto ciò è simile a quella sensazione che si prova quando un amico ci rivela un particolare, una cosa importante, che però ci era sfuggita. La città, le porte, i frammenti urbani, ci sono sempre stati: dunque noi non c’eravamo?Nello scegliere il titolo della sua mostra, non so se Maurizio Leoni abbia pensato al significato originario della parola svelare: svelare come togliere il velo, come atto di verità. Le sue fotografie hanno appunto la capacità di non rivelare alcunché, ma semmai di svelare. Non c’è nessun evento straordinario, nessuna “rivelazione”, nessuna annunciazione, nessuna epifania: gli elementi sono stati sempre lì. Nello svelare l’evidenza Maurizio Leoni istituisce, a mio avviso, un tempo. Negli episodi dell’incontro, dove l’uomo è il soggetto principale, il tempo è presente, noi siamo presenti. Sia che queste persone ci guardino o che ci ignorino, parlando tra loro, noi siamo parte di questa azione, e veramente l’architettura pare essere la “scena fissa per l’azione degli uomini”, come diceva Aldo Rossi. Nello svelarci la città attraverso le sue costruzioni, invece, questa è quasi disabitata, e pare che il tempo si sia fermato. Ma è, insieme, un tempo fragile. Un momento, e non sarà più così. Lo sappiamo: quei silos andranno giù, quel passaggio a livello sarà dismesso, le pompe di benzina allontanate. Guardiamo appunto questa città come un attimo prima che il “progresso” la modifichi irreversibilmente. La guardiamo, se non fosse paradossale, con una forma di nostalgia: come se l’avessimo già perduta. Questo senso di perdita, di lontananza, è esaltato dalla fortissima oggettivazione degli episodi urbani. La città è vista per dettagli assoluti o riflessa nei vetri. Questa riflessione pone appunto un’ulteriore distanza noi e l’oggetto. Quello che vediamo non è più la città, ma già una sua rappresentazione, un suo doppio: una ri-presentazione.
Maurizio Leoni restituisce comunque ai cittadini la città di Bastia.
Ma quale Bastia? Credo che la colga in un momento di passaggio. Da una parte ci ritorna una cittadina di provincia, ricca di una socialità sorridente, pacata, in movimento lento. Dall’altra ci fa appena intuire la città che verrà. Un momento di passaggio tra la cittadina che esce dal suo passato rurale e si affaccia su una dimensione diversa, che come tutte le città odierne, non riesce più a controllare formalmente e compiutamente.
Questa città in embrione ci parla non più secondo un discorso compiuto, come può essere la piazza, (guarda caso intensamente vissuta), ma attraverso frasi sconnesse, episodi. Spesso è una città che parla attraverso i i suoi episodi meno noti (ponti, passaggi a livello, tubazioni, ecc.), od i propri segnali (le”istruzioni per l’uso”: cartelli, divieti, frecce, ecc.), forse perché l’architettura ha perduto la sua immediata capacità narrativa. Anche questo aspetto della architettura contemporanea è colto in pieno da Maurizio, laddove gli elementi della città tutta ci vengono riproposta in maniera evocativa e direi in alcuni episodi anche onirica.
Questa decontestualizzazione, questa oggettivazione, obbliga anche ad un giudizio sulla composizione di ciò che è ritratto. Perché di tutti i possibili modi di vedere un certo oggetto (o una coppia di oggetti), ce n’è solo uno con quel taglio, con quelle linee di forza, con quel tempo d’esposizione, con quella profondità di campo. Si tratta ovviamente di piaceri sottili, riservati a chi vorrà prendersi il tempo di indugiare un po’ più a lungo su queste immagini.
A compensare questa seriosità, tuttavia, le foto di Maurizio Leoni conservano tutto un registro auto-ironico. Si veda per esempio la “linguaccia” che l’anziana signora ci fa, o allora l’accostamento di oggetti e scritte, o ancora la composizione di oggetti presi (sor-presi?), in uno spiazzante fuori scala. Credo che l’ironia sia proprio la chiave di lettura giusta per riportare, ancora una volta, l’evento alle sue giuste dimensioni, alla sua scala naturale. La “linguaccia” è appunto lo sberleffo che l’anziana fa prima di tutto al fotografo, e poi a noi, così come i tubi e le scritte sono spiazzanti prima per lui che per noi.
Mario Bruno Broccolo