mercoledì 17 giugno 2020

#080 - Da Rasiglia a Sellano fino a Cerreto di Spoleto




Damiano sotto il vecchio ombrello di una sessantina di anni fa appartenuto alla Nonna Matilde


Domenica scorsa avrei avuto due alternative sul come trascorrere il pomeriggio:
avrei potuto adagiare le mie antiche chiappe sul divano e finire di leggere le rimanenti 182 pagine, delle totali 688, del libro di Bolaño “I detective selvaggi”, oppure sarei potuto uscire con Damiano, come gli avevo promesso, nonostante il maltempo diffuso su tutta la regione.
Per chi non lo sapesse, di tanto in tanto, il sottoscritto e l’amato pargoletto, vanno in giro per le città dell’Umbria al fine di scarabocchiare il loro sketchbook alla maniera degli Urban Sketchers, prendere fotografie come diceva Ando Gilardi e, a volte, degustare le specialità della cucina autoctona.
Abbiamo deciso di uscire!
Pertanto alle ore 15:30, del giorno 14 giugno, a bordo della nostra Fiat Grande Punto a metano del 2009, con ben 293.550 chilometri sulla gobba, muoviamo in direzione di Rasiglia, una frazione del Comune di Foligno.
Il cielo plumbeo e la pioggia incessante non promettono niente di buono ma i due impavidi Leoni non si lasciano intimidire.
Dopo aver ammirato, armati di ombrello e scarponcini, i rivoli d’acqua di Rasiglia, saliamo fino ai 784 mt. s.l.m. di Verchiano e dopo una breve sosta raggiungiamo la splendida città di Sellano.
Sellano si offre al nostro sguardo indagatore un po' bagnata e semideserta, fatta eccezione per qualche persona seduta fuori dello Stella Caffè vicino alla chiesa e qualche fanciullo che gioca negli spazi pubblici sottostanti.
Da Sellano continuiamo lungo la SR 319 per salire poi fino a Cerreto di Spoleto, patria del mio amico e collega Fabio.
Cerreto è sempre una delizia per gli occhi e dopo aver scattato qualche foto scendiamo baldanzosi, ma non più di tanto, fino al bivio per Triponzo, in piena Valnerina.
Damiano comincia ad essere stanco e viriamo a destra verso Borgo Cerreto con l’intento di tornare a casa.
Ad un certo punto, tra Borgo Cerreto e Piedipaterno arriviamo al punto dove qualche anno fa perse la vita in un incidente stradale un mio carissimo amico il cui ricordo rimarrà sempre vivo nel mio cuore.
Più avanti, all’altezza del bivio per la splendida Vallo di Nera c’è un autovelox di cui non ricordavo l’esistenza.
Ho rallentato di colpo e spero di non aver infranto nessuna norma del Codice della Strada né in questa occasione, né al successivo autovelox in località Castel San Felice.
La pioggia continua a cadere e nel frattempo Damiano si è addormentato beatamente.
Si risveglierà solo a Bastia Umbra quando fermerò la macchina davanti a Giò Gelato, la sua gelateria preferita, per gustare il solito gelato tutto gianduia.
A conti fatti abbiamo percorso quasi 140 chilometri.

Maurizio Leoni


Siamo partiti. Osservo la cupola scorrere. Appare imperlata dalle goccioline che tempestano il finestrino, sagoma ritagliata fra gli alberi, forse un po’ civettuola. Le note allegre di “Un giorno credi” pompate nella radio accompagnano la partenza. L’occhio rapace del fotografo, sospeso al di sopra del tempo e dello spazio, incastonato nel mirino, cattura voracemente l’immagine del cruscotto illuminato da mille spie. Cosa mi riserverà questa nuova escursione?
Il Tato imprigiona sulla sua celluloide istanti dello scorrere della strada bagnata che scivola sotto le ruote. È un pazzo? No, in realtà sa benissimo quello che fa, e io gli voglio bene anche così, da matto (qual è, ma per passione e in misura accettabile e contenuta). La Fiat color topo, animale con cui condivide anche l’aerodinamica forma, sferza l’umida entità dell’aria un po’ depressa di questo pomeriggio, sfida la mole dei nuvoloni che si dipingono all’orizzonte, fieri. Siamo forti della varietà di canzoni che si susseguono nella radio e del senso spensierato di leggerezza che caratterizza le nostre avventure. Anche per questo ti voglio bene, Tato.
Annunciata la destinazione: Rasiglia.
Anche se stritolato dalle evanescenti spire di un cielo la cui atona sfumatura vira verso il biancastro sporco del latte, il paesaggio della mia Umbria mi affascina e mi toglie l’uso della parola. Osservo, un po’ in soggezione, la maestosità dell’infinita distesa di soffice bosco, che si inerpica sulle fiancate dolci dei monti, labirinto di boriose sfumature verdi in cui l’occhio si perde.
Ecco il Sasso di Pale che emerge da una nuvola di nebbia, mostrando trionfante il chiarore raschiato dall’aria frizzante della sua fiancata.
Fra le timide fronde di alcuni alberelli campeggia uno strano capannone, pare un tubo di scarico piantato in una boscaglia all’interno della quale è un pesce fuor d’acqua, attaccato sul colore coriaceo della sua armatura. La porta, la cui tonalità biancastra si intuisce appena sotto il velo rossastro della ruggine che la divora, sembra osservarmi, ebete. Il Tato scende a fotografare. Beh, quel capannone potrebbe avere il suo fascino.
Dopo aver intravisto l’indicazione per Bar(r)i e aver attraversato Casenuove eccolo: il cartello Rasiglia. Ci siamo.
All’interno del paesino mi incuriosisce uno strano rumore a cui le orecchie si abituano e che si confonde sempre di più con il ticchettio frenetico e scrosciante della pioggia. É un rombo, un ruggito monotono che borbotta con la voce grossa. È il suono dello scorrere tartagliante dell’acqua che vena incessante la mappa del piccolo agglomerato di case. Per me, Rasiglia, si può descrivere solo attraverso i suoi canali, le esplosive acrobazie a cui sono costrette. In alcuni casi l’acqua è più violenta, irruenta, si dimena con rabbia esondante nei canali che la rinchiudono confinandola su un tracciato, nei punti in cui chiuse esili, traballanti in una fragile incertezza, non sono più capaci di arginare lo spumeggiante blaterare di un’acqua che si sporge oltre i confini di un canale e che scivola fuori in rigagnoli di gorgoglii. In altri punti, invece, i canali sono costrizioni scavate nel terreno all’interno dei quali il ruggito cruento dell’acqua si sfoga in evoluzioni di spuma biancheggiante, movimenti convulsi di una spina dorsale che si invola inarcandosi secondo i contorni del passaggio, fino a circondare isolotti svettanti che ospitano ciuffi d’erba i quali, titubanti, si sporgono a osservare la posizione destabilizzata della loro fortezza, alla mercé dei morsi del liquido. In altri momenti l’acqua diventa un singhiozzo saltellante, un frullo gorgheggiante di gorgoglii che si muovono in sinuose evoluzioni sciroccate, fino a trasportarsi verso la solitudine di un angolo lucido, nascosto fra i ruvidi e burberi profili di alcuni spunzoni di roccia su cui si arrampicava la silenziosa tristezza di qualche foglia, che contiene l’unico risucchio di un passaggio d’acqua, un tuffo dall’altezzosa superiorità del mento di una qualche costruzione che disegnava l’immagine di una cascata fatta del fatato disegno di alcuni rigagnoli, oltre i quali si può intuire lo sfocato profilo di un altro scorcio.
Dietro ad una distesa composta da casette che profumano di aria fresca, oltre il profilo dolce di due pendii che si accarezzano sulla linea dell’orizzonte, si apre un’immagine meravigliosa. Incastonata sotto il vaporoso pallore dell’impero delle nuvole si apre, regalata ai miei occhi quasi per miracolo, la visione dello scorcio di un monte, baciato dal sole, appena velato dell’immacolato filtro della lontananza.
E chiudo con una frase scovata in un canale, a Rasiglia, che, per un attimo, è riuscita a strapparmi dalla dimensione idilliaca e straniata dai problemi della vita in cui ero immerso, per farmi riflettere su quanto si addica alla nostra dimensione:
“La giusta via è come l’acqua: visto che si adatta a tutto, a tutto è adatta” (Ayuryeda)

Damiano Leoni


cruscotto


superstrada


Damiano


bivio per Pale lungo la vecchia statale 77


Rasiglia/1


Rasiglia/2


Verchiano


piana di Verchiano


Sellano


Cerreto di Spoleto

sabato 14 marzo 2020

#079 - Fare la spesa ai tempi del coronavirus




Ciao a tutti, tutto bene?
Dopo più di un anno, mancavo dal 24 novembre 2018, torno un po' malinconicamente a solcare le righe di questo blog con la presunzione di poter sdrammatizzare un po' questa situazione di me**a anche se la motivazione principale, diciamocelo apertamente, è quella di passare il tempo.
Saluto fraternamente gli amici e parenti che di solito solidarizzano con me leggendo i miei post così da alimentare le statistiche relative alle visualizzazioni con l’obiettivo amichevole di non far precipitare la curva della mia autostima.
Approfitto per ringraziare tutti coloro che si stanno adoperando per mantenerci in vita (infermieri e medici) e per non farci mancare niente, fosse anche una parola di conforto.
Stamattina è avvenuto un fatto eccezionale tipo l’avvistamento di una cometa o la vincita della Champions League da parte della Juventus: sono andato a fare la spesa.
Armato di tutto punto con la mia mascherina fatta in casa da mia moglie Katia con la carta da forno e gli elastici, che mi faceva sudare anche le gengive; mi sono presentato poco dopo l’apertura al solito supermercato con cinque grandi buste della spesa e un elenco interminabile di roba da acquistare.
Appena entrato ho avvistato una decina di bipedi che si aggiravano spettralmente tra gli scaffali con armature facciali di plastica e di stoffa griffate o artigianali e con gli occhi ben visibili che impressionavano con un’aria tra lo smarrito e l’avvilito.
Mentre io riempivo il carrello per una spesa epocale come se non ci fosse un futuro, c’era un soggetto anziano che pesava due arance sulla bilancia e acquistava piccole cianfrusaglie per una spesa meno che giornaliera.
Un altro girava con un carrellino con dentro un pacchetto sottovuoto di caffè che si trascinava dietro come se stesse a portare a spasso il cane: segno evidente che non aveva nient’altro da fare.
Mentre appuravo con sommo dispiacere che rimanevano solo due confezioni di spaghetti numero 12 della mia marca preferita, potevo vedere che qualche umanoide sotto copertura cercava di mantenere le distanze di sicurezza mentre si guardava intorno furtivamente.
Ad un certo punto da qualche ugola è partito un sostanzioso colpo di tosse, allora tutti gli astanti hanno sobbalzato e hanno drizzato le orecchie per capire dove fosse posizionato il possibile untore.
Una volta controllato che avevo preso tutto o quasi mi sono avvicinato alla cassa dove alcune righe gialle appiccicate sul pavimento ci mostravano la lontananza da mantenere tra un cliente e l’altro.
Dopo aver messo all’interno della solita Fiat Punto a metano di 11 anni e di circa 300.000 chilometri le buste gonfie di ogni ben di Dio sono tornato mestamente a casa percorrendo le vie desolate e semideserte della mia Bastia Umbra.
Ora sono di nuovo a casa e mentre sto mettendo insieme queste poche parole è appena passata un’auto della Protezione Civile con gli altoparlanti da cui usciva una voce femminile per raccomandare a tutti di rimanere in casa.
Adesso torno sul mio divano dove ho preso domicilio e finirò di leggere, anzi di rileggere dopo più di trent’anni, il mio Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse dove, tanto per rimanere in tema, si narra anche di una grande pestilenza che uccideva uomini e donne del medioevo.
Un abbraccio a tutti e restiamo in casa.

Maurizio Leoni